Ero solo come un ombrello su una macchina da cucire. Dalle pendici dei monti Iblei, a settentrione, ho percorso il cammino, arrampicandomi per universi e mondi, con atti di pensiero e umori cerebrali. L’abisso non mi chiama, sto sul ciglio come un cespuglio: quieto come un insetto che si prende il sole.

da "L'ombrello e la macchina da cucire", F.Battiato

mercoledì 27 aprile 2011

Assignment 6 parte 2: su PubMed e sull'inutile settarismo delle riviste scientifiche

"E' come chi decide di fare il filosofo e chi il medico, secondo te chi decide della vita di una persona?"
"Il medico"
"Bravo. Il medico. Perché puoi decidere della vita delle persone.(...) Salvarli o non salvarli. E' così che si fa il bene, solo quando puoi fare il male. Se invece sei un fallito, un buffone, uno che non fa nulla. Allora puoi fare solo il bene, ma quello è volontariato, uno scarto di bene.(...)"
Sarà anche per questo che mi sono laureato in filosofia, per non decidere al posto di nessuno.
(da Roberto Saviano, "Gomorra", 2006)


Ho trovato questo dialogo tra Saviano e il padre medico leggendo "Gomorra", qualche mese fa. Mi è capitato nuovamente tra le mani di recente e mi è sembrato giusto inserirlo come appendice del post precedente. Di fatto, sintetizza molte delle questioni che avevo sollevato in quella sede e l'immagine del "medico che decide al posto degli altri", che "fa il bene perché può fare anche il male" mi sembra molto eloquente riguardo ad una certa visione 'superomistica' dell'uomo di scienza.
Detto questo, devo dire che lo spirito con il quale PubMed è stato creato mi è sembrato nobile: solo se ogni singolo ricercatore di ogni singola università di ogni angolo della terra condivide i risultati dei propri studi è possibile un rapido avanzamento delle conoscenze, evitando, ad esempio, che alcuni studiosi non raggiungano i propri obiettivi perché ignorano ciò che dall'altra parte del globo è stato scoperto poco tempo prima.
L'applicazione, tuttavia, mi ha lasciato molto perplesso. Anche utilizzando il proxy della facoltà, infatti, un numero molto elevato di articoli rimane inaccessibile. Le riviste non permettono di accedervi o, per farlo, richiedono contributi molto onerosi. A questo punto, mi domando a cosa serva condurre delle ricerche destinate ad essere recepite da pochissimi addetti ai lavori. Certo, è ovvio che non tutti si occupano di tutto, pertanto ogni ricercatore leggerà con attenzione soprattutto le pubblicazioni relative al proprio ambito. Tuttavia, precludere a ciascuno la possibilità di accedere a ciò che non è strettamente specifico del suo campo di ricerca, impedire la visione di gran parte dei documenti presenti su PubMed a chi, per interesse o per semplice curiosità, vuole leggere qualcosa di avulso dagli studi che abitualmente svolge vuol dire coltivare una visione settaria del sapere medico-scientifico, mirare ad una sua iperspecializzazione. Tuttavia, l'oggetto della ricerca, l'uomo, resta un organismo unico, in cui tutto è strettamente interconnesso. Cercare di 'smembrarlo', di farne tanti pezzettini da studiare indipendentemente gli uni dagli altri, può anche servire da un punto di vista metodologico, ma è come sapere tutto sul nono canto del Purgatorio di Dante e ignorare completamente il resto della Divina Commedia.
Si perde tutta la poesia dell'insieme.

giovedì 14 aprile 2011

Assignment 6 parte 1: contro la 'sacralità' della scienza

Casualmente, la sera in cui ho letto gli articoli per l'Assignment 6 parte 1 sono anche finito sul blog Magic and Medicine, dove ho scoperto l'esistenza di un Premio IgNobel per le ricerche scientifiche meno utili all'umanità. L'unione delle due cose - le osservazioni sulle statistiche in cui ad ogni segno zodiacale era associata una diversa predisposizione per una determinata malattia e gli interessanti studi del signor Witcombe sugli effetti collaterali del mangiare spade - ha prodotto in me la reazione che talvolta ho leggendo sui giornali che serissimi studiosi di una university qualsiasi di un qualsiasi stato americano hanno profetizzato la scomparsa, entro il 2133, dei capelli rossi dal fenotipo umano o l'estinzione dell'intera umanità nel giro di due anni. Una sensazione in cui coesistono umorismo("Guarda un po' che cosa hanno tirato fuori questi") e una leggera inquietudine, data dal fatto che comunque, quando qualcosa è introdotta dalla parola scienza è di per sè credibile e degna di fede, "qualcosa di vero ci deve essere".
Forse, scoprire che le ricerche che appaiono folli a me lo sono anche per altri, che nelle statistiche scientifiche è molto facile sbagliare e che non sempre ciò che viene mostrato come correlato lo è realmente, mi può aiutare a sottrarre alla divinità positivistica della Scienza quella sacralità che ciascuno di noi, inconsciamente le dà. La scienza non sbaglia, la scienza fa sempre qualcosa per un motivo: sono frasi che ad ognuno sono passate per la mente almeno una volta; invece, ciò che ammantiamo di valore quasi divino non è che, ahimè, qualcosa di  umano, troppo umano come direbbe il buon Federico Nietzsche. Quante scoperte "risolutive" contro il cancro o l'AIDS sono state annunciate in questi anni e poi ridimensionate al più modesto ruolo di "passi avanti"? Quanti errori, nel corso della storia, sono stati compiuti da personaggi che si proclamavano uomini di scienza, quante atrocità?
Recentemente, su La7, mi è capitato di vedere Ausmerzen, di Marco Paolini, sullo sterminio dei cosiddetti "matti" nella Germania nazista. Sterminio che fu condotto da medici, coordinato dai migliori psichiatri dell'epoca. Uomini di scienza, tra i massimi rappresentanti della scienza di quel tempo.
Farò bene a ricordarmene, la prossima volta che, senza alcuno spirito critico, accetterò come dogma assoluto ciò che porta su di sè la parola "scienza".

giovedì 7 aprile 2011

"Una volta questo era un gran bel paese": la libertà amara di "Easy Rider"


E' un ancora sconosciuto Jack Nicholson a rendere esplicito il duro giudizio sull'America perbenista e bigotta che è centrale nell'intero film Easy Rider. Poco più tardi, il personaggio da lui interpretato sarà pestato a sangue e ucciso proprio da uomini come coloro di cui parla in questo monologo, come quanti, sul finire degli anni Sessanta, non accettavano la protesta pacifica dei giovani hippies e avevano paura della loro libertà.
E' un film molto amaro, Easy Rider. La trama è semplice: due mototoclisti, interpretati dal compianto Dennis Hopper e da Peter Fonda, partono da Los Angeles per raggiungere New Orleans, in Louisiana, per il Martedì grasso. Ma il loro viaggio diverrà un'immersione nel cuore nero d'America, in quell'America profonda da sempre reazionaria e ostile ad ogni mutamento e, al contempo, esso sarà un'affermazione di libertà, di una libertà totale che bene sembra accompagnarsi agli immensi spazi aperti che Billy (Hopper) e Capitan America(Fonda) attraversano in moto e al rock che costantemente commenta il loro vagare.
I protagonisti del film sono figli di Kerouac, certo, di quella Beat Generation che per prima aveva reso l'errare senza meta il più grande atto di ribellione contro una società, quella americana, i cui unici valori sono il lavoro e il successo personale, ma la vera ispirazione per il film viene da altro. Da un film uscito negli States come The Easy Life e che era stato girato da Dino Risi nel 1962. 
Il sorpasso è infatti il modello cui si ispirerà Hopper per Easy Rider e non è difficile cogliere le affinità tra il viaggio di Vittorio Gassman e di Jean Louis Trintignant attraverso l'Italia del boom economico e il vagare libero di Billy e Captain America.
Oltre al valore storico e di denuncia del film, c'è però una cosa che resta in testa una volta che si è finito di vedere Easy Rider ed è la colonna sonora. Da essa è tratto il brano che segue: Born to be wild.

domenica 3 aprile 2011

Il sud sognante di Battiato: "Giubbe rosse"

Ho ascoltato questa canzone per la prima volta a quattordici-quindici anni, in una delle tante estati trascorse nel paese natale di mio babbo in Abruzzo. L'immagine che ne riportai - e che mi torna ancora alla mente, quando la risento - è quella di un Sud archetipico, di un luogo in cui ancora è possibile, almeno nel calore di un pomeriggio di luglio, cercare qualcosa che si sente di aver perduto. Cercare delle "radici", un collegamento con qualcosa di atavico e primordiale che altrove è precluso.
Forse è per questo che Battiato attualmente passa molto tempo nella sua casa sull'Etna, a dipingere e meditare.
La canzone fu inserita per la prima volta nel disco live Giubbe Rosse del 1989. Di seguito trovate il testo.

Abito in una casa di collina
e userò la macchina tre volte al mese
con 2000 lire di benzina
scendo giù in paese.
Quante lucertole attraversano la strada
vanno veloci ed io più piano ad evitarle.
Quanti giardini di aranci e limoni
balconi traboccanti di gerani
per Pasqua oppure quando ci si sposa
usiamo per lavarci
petali di rose
e le lucertole attraversano la strada
com'è diverso e uguale
il loro mondo dal mio.
Vivere più a sud
per trovare la mia stella
e i cieli e i mari
prima dov'ero.
Passare dal mercato del pesce
prendere i collari in farmacia per i cani
e ritirare i vetri cattedrale del gazebo.
Il fuoco incandescente del vulcano
allontanò il potere delle Giubbe Rosse
e come sembra tutto disumano
e certi capi allora e oggi
e certe masse
quanti fantasmi ci attraversano la strada.
Ritornare a sud
per seguire il mio destino
la prossima tappa
del mio cammino in me
per trovare la mia stella
e i cieli e i mari
prima dov'ero.


 

sabato 2 aprile 2011

Assignment 4: social bookmarking, "Opera Italia" e un Toscanini d'annata

Non conoscevo il social bookmarking e forse l'uso che ne faccio non è quello per cui delicious.com è stato creato. Non credo infatti che me ne servirò per trovare i miei segnalibri anche quando non sto utilizzando il pc di casa (la vecchia cara ricerca su google ha ancora un suo certo fascino); preferisco utilizzarlo per parlarvi di qualcosa che, senza il social bookmarking, forse mi avrebbe costretto a postare una decina di video di seguito mettendo a dura prova la vostra pazienza. Devo dire che delicious.com si presta molto allo scopo, per cui sono abbastanza soddisfatto di aver imparato a usarlo.
Più sotto, trovate il link alla mia pagina di delicious.com, da dove potete collegarvi a un po' di video che racchiudono le tre puntate di un programma della BBC che in Italia è andato in onda su rai3 a orari improponibili, nel cuore della notte, alla fine di dicembre, quando il sottoscritto aveva la testa mediamente stipata di fenil-osazoni, fenil-idrazoni e affini. Purtoppo, non sono riuscito a trovare la versione in italiano, per cui gli interessati dovranno vederlo nella versione originale in inglese (comunque, se sono riuscito a capirlo io...).
E' un programma condotto dal noto direttore d'orchestra italo-inglese Antonio Pappano che ripercorre la storia di uno dei prodotti più caratteristici della produzione musicale italiana: l'opera. Dagli inizi, all'inizio del Seicento, con Monteverdi, al finale incompiuto di "Turandot"(Puccini morì prima di concludere il lavoro), Pappano accompagna lo spettatore, con l'entusiasmo del melomane e la competenza del musicista, attraverso la lenta evoluzione di un genere spesso molto amato o molto odiato.
La prima puntata è relativa all'origine dell'opera e a Rossini, la seconda riguarda Giuseppe Verdi, la terza Puccini; le trovate su http://www.delicious.com/ombrelloemacchinags.
Vi lascio con l'overture della "Forza del destino" di Verdi, diretta nel 1944 per la NBC da Arturo Toscanini.